Animali usati a scopi scientifici

Animali usati a scopi scientifici

Abbiamo di recente dedicato un articolo al numero e alle specie impiegate a scopi scientifici nell’Unione Europea: i dati, riferiti al 2018, provengono dal report pubblicato a luglio, in accordo con la Direttiva 2010/63/EU, che comprende per la prima volta anche i dati norvegesi.

Oltre al numero di individui impiegati per la prima volta (ossia non sottoposti a riutilizzo, nell’ottica del principio delle tre R) e alle specie coinvolte, uno degli aspetti più importanti indagati dal report è lo scopo per il quale tali animali vengono impiegati. Parlare di “uso di animali a scopi scientifici”, infatti, significa molte cose: si va dalla ricerca sulle malattie alla conservazione delle specie, e ciascun fine scientifico può avere un impatto maggiore o minore sul benessere dell’animale.

A questo aspetto è dedicata la seconda parte del report, della quale riportiamo qui alcuni dei dati più importanti.

Ricerca di base e applicata

Lo scopo di utilizzo della maggior parte degli animali, scrive il report, è la ricerca scientifica. Questa viene distinta tra ricerca “di base”, che si potrebbe genericamente definire come una ricerca che non ha un’immediata applicazione ma mira ad ampliare le conoscenze di un dato aspetto, e “applicata e traslazionale”, che invece ha un obiettivo applicativo, per esempio in clinica (come mettere a punto o migliorare una terapia).

Gli animali impiegati nella ricerca rappresentano circa il 74% del totale (10,8 milioni includendo i dati norvegesi): il 46% per la ricerca di base, il 27,5% per la ricerca applicata – percentuale, questa, che segna una leggera crescita rispetto al 2017.

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